giovedì 28 luglio 2011

Alice, un paese di meraviglie #3

La regina bianca urla di dolore prima di pungersi. Il tempo è al contrario, il dopo viene prima del prima. S'ingarbugliano le parole e le dita che sentono dolore prima di sfiorare lo spillo. Un soldo per i tuoi pensieri e per quello che sarà. Basta scivolare nel tunnel, seguire il bianconiglio e raggiungere la regina bianca. Vedere il futuro prima che accada. Lucidare le scarpe prima che s'infanghino, mangiare una poltiglia a colazione prima che sia diventata torta, leggere una mail prima di riceverla, passare il phon sui capelli prima di lavarli, innamorarsi prima di conoscerlo. Potrebbe essere, l'ultima intendo. Una magia dentro la magia. Mi serve un nome da dare ai fiori e un pennello per colorarli. Tra la chioma degli alberi sbuca il sorriso sornione del gatto anche se la sua faccia non so proprio dove sia finita. Cammino su un nastro che va all'incontrario. Torno indietro anche se indietro non è mai casa e neppure un posto che conosco. Alice mangia un biscotto per diventare grande a dismisuta e guardare giù come da una mongolfiera. "Non so se mi piace quella miniatura di mondo", pensa. I pensieri sono farfalle che creano un'uragano nel mondo fuori.

Piove, ma sarebbe bello "sole a tal punto".

.G

martedì 26 luglio 2011

Alice, un paese di meraviglie #2

Il primo assioma della comunicazione umana di Paul Watzlawick sancisce l'impossibilità di non-comunicare. Il silenzio è comunicazione al pari di una discussione animata. Già, il silenzio è comunicazione. Odio il primo assioma, odio il silenzio. Io ti scrivo, non per questo devi necessariamente leggermi. Ma forse vale anche per questo il primo assioma: impossibile non-leggere. Sbatto le ciglia, mi sistemo i capelli dietro la nuca e sospiro davanti a una betoniera che getta cemento dentro la mia fossetta destra e la appiana creando un nuovo significato al verbo e al volto, e non mi sembra un valore aggiunto. Mi guardo allo specchio per cercarne traccia, almeno un alone, almeno un'idea di. Mi mancano le coordinate per trovarla, dovrei accendere il Tom Tom e seguire la voce metallica che me la faccia trovare. Penso alle parole che, come rimaste dentro l'ascensore bloccato che risale la torre Eiffel, guardano l'ugola nell'impossibilità di raggiungerla. Vedo semi di finocchio, di cardamomo e cristalli di zucchero sparsi sui colori della tovaglia. Vedo gesti specchio e punti esclamativi e interrogativi volare come palloncini alla festa di paese e fili ingrassati con olio di foca per rendere impossibile la presa. Vedo il bianconiglio che corre guardando l'orogio perchè è tardi e la regina bianca che si punge il dito sistemandosi lo scialle. Alice mangia un biscotto dietro l'altro e si gonfia e sgonfia come il mantice per attizzare il fuoco. Sparisce all'ombra di una sedia bianca e sbatte la testa contro il soffitto. Dovrebbe provare con quelli del Mulino Bianco che rendono le colazioni tempi sospesi e le labbra solo a forma di sorriso. La regina bianca sparisce in un puff di vento lasciando un vestito di geometrie colorate appeso nel vuoto che ondeggia senza fiato. L'ascensore si porta via un orologio e piume di coniglio.

Io ti scrivo ma tu, non necessariamente devi seguire il primo assioma.

PuntoG

domenica 17 luglio 2011

Posti senza dimensione #4

Margherita è minuta. Quando cammina lo fa a piccoli passi, come se le gambe fossero legate da un filo sottile per impedirne l'andare. Si muove poco, piuttosto sta in piedi, dentro uno dei rettangoli della pista di decollo, come se quelle linee rappresentassero un confine o una protezione. Solitamente però sta seduta, con una posa che sa da sala d'attesa. Espressione rassegnata, sguardo fisso in linea retta e non importa se davanti c'è un muro, piedi uniti e allineati uno accanto all'altro che sembra sia passato qualcuno con squadra e righello per metterli a posto, braccia mollemente adagiate sulle cosce. Solo ogni tanto rompe questa geometria per guardare con aria indifesa la persona che la accompagna. Lo sguardo è quello di una bimba di 7 anni, le rughe e i capelli bianchi quelli di una donna di 70 anni. Chi l'accompagna è sua figlia. Con lo sguardo e la voce dei suoi 7 anni le dice di voler andar via, l'altra le risponde "Tu non vuoi guarire, mamma". Margherita con un filo di voce dice di si, che vuole guarire. Mentre risponde gli occhi diventano liquidi e uno comprende che in qualche modo è tornata a casa ad accarezzare il gatto che fa le fusa, ad innaffiare i geranei che quest'anno hanno più fiori del solito, a togliere la polvere dalle innumerevoli statuine ricevute a ricordo di matrimoni, battesimi e comunioni. C'è stato un tempo in cui Margherita indossava la collana di perle e sorrideva all'uomo che fumava la pipa dentro un posto che si poteva chiamare casa.

Ci sono posti dove il tempo non ha dimensione.

PuntoG

venerdì 15 luglio 2011

Posti senza dimensione #3

Paolo ha più o meno 35 anni ma potrebbe dimostrarne molti di più se non lo si guardasse in viso, e non avrebbe poi così tanta importanza visto che l'espressione è sempre uguale a se stessa. Ha una camicia bianca infilata dentro i pantaloni neri come le scarpe, coi lacci. Mentre lentamente avanza, senza curarsi di nessuno ovviamente, si sistema l'impermeabile. Nero. Poi infila le mani in tasca, fa un respiro profondo, si concentra e prende il ritmo. Come se le gambe fossero l'asticella del metronomo inizia a percorrere, a ritmo sostenuto, il corridoio. Tutto. Senza tralasciarne neppure un pezzo. Sembra un elastico nel vuoto, in assenza di attrito, di forza di gravità e di tutte quelle forze che prima o poi interrompono il moto dei corpi. Facendoli precipitare al suolo alle volte, che è meglio di quel moto perpetuo, di quell'espressione sempre uguale a se stessa, di quei pensieri che s'inseguono col fiato corto, che fanno a cazzotti perchè non vanno daccordo tra di loro e per trovarsi uno spazio. Manca il fiato anche a guardarlo Paolo, che uno se lo immagina seduto al tavolino di un bar a commentare le tette della cameriera e invece percorre questo rettangolo che sembra una pista da decollo. Solo che lui, di volare, non ne è capace. O almeno non come il volo lo intendiamo noi.

Ci sono posti dove il tempo non ha dimensione.

lunedì 11 luglio 2011

Alice, un paese di meraviglie #1

Sono decantatrice di pensieri, quella che li raccoglie ad uno ad uno come fossero fragoline di bosco, cercandole anche sotto le foglie. Solo una volta che sono tutte insieme nel paniere, e solo una volta giunta a casa, diventano un tutt'uno. Non più singoli elementi, ma un cesto di fragoline. Che è la metafora di parole che diventano pensieri, che diventano frasi tradotte abbastanza da poter essere dette e comprese.

Sto leggendo "Alice nel paese delle meraviglie" che è una favola e una metafora. Io ci ho trovato la mia personale. Perchè quando leggo, le cose che ho dentro prendono forma. Non perchè il libro me le insegna (capita anche questo!) ma perchè riesco a dare forma a vapori che già stanno dentro di me. Tra fogli di carta, vermetti neri che sono parole, diventa tutto più semplice, il vapore prende forma, consistenza e nome. Insomma, riesco a capire ciò che non so di sapere.
Alice si trova nel Paese delle Meraviglie e cambia di dimensione mangiando biscotti. Si restringe o si allarga a seconda della necessità. Alle volte sbaglia anche misura e si ritrova piccina o gigantesca nel momento e nel posto sbagliato.
Traslando, Alice sono io. Imbrigliata in una cultura dalla quale per alcuni aspetti mi sono liberata perchè non mi è mai appartenuta, alcune cose mi sono rimaste invece incollate come le tessere di ceramica di Parco Guell. In aggiunta, sono anche imbrigliata in una cultura che non mi appartiene per nascita ma che, la mia caratteristica di voler entrare sempre dentro alle cose, mi ha fatto parzialmente acquisire. Parzialmente appunto.
Nei rapporti interpersonali, vivo con un taccuino metaforico dove c'è segnato cosa è permesso/dovuto fare. Pian piano funziona se la voglia di non vivere nel ghetto prevale sulla voglia di essere parte del mondo in cui lavoro, vivo, dormo. A volte sbaglio nonostante gli appunti, ma sorrido e vengo perdonata.
In Francia, sulla spiaggia di Cap Martin, ho pensato alla forte percezione avuta del fatto che il mio tempo è solo il mio tempo. E' Terra di tempi geologici questa. Non credo sia un caso se lo Slow food sia nato qui, dove impera la lentezza. Terra cullata da lunghi inverni freddi, da coltri di neve che intorpidiscono lo spirito e la natura, dall'attività contadina dove il tempo e le attese sono necessarie e sovrane. Credo sia questa la sua anima. Il "peperoncino" suona stonato. Insomma, credo che i nostri tempi fanno un po’ a cazzotti e si impergolano nelle contraddizioni.
A volte il tempo è tiranno e se ne sente il fiato sul collo, e la fatica di mettere insieme le idee.
A volte tiranno è il caso colto.
PuntoG