mercoledì 31 agosto 2011

I posti non contano (quasi mai)

Risalgo in macchina per tornare a casa. E' notte, la radio trasmette Battisti, una sigaretta tra le dita e prendo una strada diversa, nessuna voglia di rincasare. Voglia di andare dentro la notte, la musica ad alto volume e io che ci canto dietro. Le mani sul volante e la macchina segue la strada, curva alle rotonde. Sembra così facile che pensi non serva neppure fare un esame per guidare. E allora ti chiedi come mai non riesci a fare la stessa cosa nella vita e con la vita. Alle volte pare sfugga via e che le ruote vadano senza che sia possibile fare nulla per farle stare dentro l'asfalto. Shen è così lontana e i misunderstandig così vicini. E non c'è nulla tra le righe d’ implicito. Solo che mentre guidavo e nascevano questi pensieri ho pensato, ecco, li posso raccontare dentro la mia mongolfiera. Il tempo è tiranno, è una manciata di granelli di sabbia tra le dita e appena ti sposti un attimo ecco che cominciano a cadere e a ridiventare spiaggia, a confondersi con gli altri granelli, e alla fine non ti resta che guardare il mare e sperare che ci sia almeno una tempesta dentro quello specchio immobile che si perde dentro il cielo, là dove sorge il sole. Bisognerebbe nascere due volte almeno, una volta per comprendersi e una volta per comprendere gli altri. Magari sarebbe più facile nuotare in questo mare. Stasera butta così, non ci posso fare nulla o forse è anche giusto che ogni tanto giri storto un pò. Alle volte ci rifugiamo in silenzi che ci chiudono al mondo, che ci portano a fuggire in posti ben più lontani della cina, irragiungibili per chiunque, forse anche per se stessi. La vita già fugge via di per se, se noi cerchiamo di essere più veloci di lei, finisce solo che ce ne perdiamo un pezzo, e forse non è giusto. Sarebbe bello un sorriso. E un abbraccio, di quelli che sembrano una coperta calda quando fuori nevica

Qui Italia, Mondo, ore 00:12
I posti, alle volte, non contano.

床前明月光, Chuang qian ming yue guang
疑是地上霜, Yi shi di shang shuang
舉頭望明月, Ju tou wang ming yue
低頭思故鄉, Di tou si gu xiang

lunedì 29 agosto 2011

Domanda? Risposta!



Le risposte è bello regalarle a chi regala pensieri che tengono compagnia, che creano altri pensieri, che emozionano.

La risposta è il cielo che diventa mare, una stella che diventa biglia, un sole che diventa girasole, una notte che diventa blu. Chi sa cosa ne penserebbe Vincent. Non credo se ne avrebbe a male se qualcuno rubasse un pò di quei colori per disegnarsi un "sole a tal punto".


PuntoG




mercoledì 24 agosto 2011

Vortici di Vincent

Ci sono posti dove il sole a tal punto te lo DEVI proprio disegnare, magari rubando i colori dai vortici di Vincent.
Ci sono posti, qui ad esempio, dove il sole a tal punto te lo PUOI disegnare, magari rubando i colori dai vortici di Vincent.

Sono tornata :)

mercoledì 3 agosto 2011

Di fili arrotolati e altre cose

A Milano ho vissuto per un pò, quando molti sogni erano ancora nei cassetti, qualcuno iniziava a realizzarsi e altri erano così ben chiusi, che non sapevo neppure ci fossero. Milano è il posto di cui si racconta in un blog in cui sono inciampata (come dico sempre io) qualche giorno fa e che ospiterò qui, sperando che l'autore non se ne abbia a male. Milano è anche un pò la mia Milano, perchè tanti sogni sono cominciati proprio da li. Ma non è l'unico filo conduttore, perchè ho anche ritrovato, magicamente districati, molti miei pensieri che nella mia testa continuavano invece ad aggrovigliarsi sempre di più. Nel blog di Andre (cose interessantissime che ho pensato al semaforo mentre aspettavo che l'omino diventasse verde), i miei pensieri li ho trovati perfettamente srotolati e allineati come panni al sole. Credo che meglio non avrebbe potuto fare. Ora che i fili sono al loro posto, provo a scrivere un bigliettino anch'io, sperando che trovi un passaggio da un piccione viaggiatore.

PuntoG

Il post è questo qui:

"Prima stavo camminando verso casa. In silenzio. Ci sono momenti in cui Milano sembra un video senza l’audio.
Sono stato al cinema, in ottima compagnia di personcine che mi piacciono un sacco, a vedere Black Swan. Tralascio la mia paura sul tutto e alcune critiche alla storia.
Ho fatto spesso il tratto San Babila-casa a piedi. E’ una questione di principio: le cose belle difficilmente stanno sotto terra. E spesso, in quel tratto, avvertivo un tormento, qualcosa di viscerale, scomodo, inappropriato al mio camminare.
A fare un due conti, credo si trattasse di notturni attachi di solitudine, rotolanti e ventosi come le foglie secche dei giardini di Palestro. Come quei rivoli d’acqua sul marciapiede lavato e depurato dal trascinarsi della via, acqua che non voleva fare quella fine.
E mi sono accorto di una cosa. Quella sensazione non c’è più, se n’è andata. Come se la foglia fosse tornata sull’albero o l’acqua nella cannella.
Mi sono accorto come due letterine che formano una preposizione cambino un significato. Sto parlando di “da”.
Che fanno emergere la differenza tra essere soli, e essere da soli. Gli inglesi direbbero lonely e alone. Scrivendo tutto ciò, mi rendo conto di quanto sia inesatto a prescindere.
Non siamo soli. E’ impossible. Possiamo intenderlo come status ma non come realtà.
Stasera, prima del cinemino, ho ascoltato una riflessione che continua a rimbalzarmi in testa. Avendo una testa vuota, spazio ce n’è.
Si parlava di capire cosa si vuole. E nel caso specifico, la signora raccontava dell’amica che voleva un fidanzato. Bene, dice all’amica, ora scrivilo, chiudi a metà il biglietto e… scrivi “cosa offro io?”
Non so se ho avuto la finezza di raccontare bene la storiella. Fatto sta che ci penso dalle nove di ieri sera. Cosa offro. Tanto, poco, niente? Non lo so. Non credo sia un discorso aprioristico in una relazione. Perchè tutti avrete pensato “e io offrivo tutto me stesso, e dall’altra parte invece…”
Invece è un pensiero sbagliato. Una saggia persona, mia grande amica, quando a dicembre finì la mia storia, quella più bella, più intensa, più bramata, mi fece soffermare sulla differenza di due termini. Colpa e responsabilità.
Io, ovviamente avevo parlato di colpa. E invece si tratta di responsabilità. Siamo responsabili del nostro operato come siamo responsabili del comportamento che gli altri hanno con noi. Perchè, e mi riallaccio a quanto sopra, non siamo soli. Facciamo parte di un tutto, un tutto che potete chiamare come volete, ma quello è. La pluralità è onnipresente e tangibile, c’è poco da discutere.
Concludendo, io solo o da solo non mi ci sento. Mentre aspetto che l’omino del semaforo diventi verde, mi rendo conto che quella sensazione di inadeguatezza, di viscerale movimento… non c’è più.
Non nego che la mattina preferirei vedere una faccia vicino al mio cuscino, ma concentrandosi troppo sulla ricerca della stessa, non ci si accorge della bellezza di ciò che ci accade accanto e di cui facciamo parte. Perché se non ci si mette in gioco, non si lotta per un’ideale ma solo per un’idea… ci si ritrova a guardare il dito che indica e non la luna."






PS Grazie Andre