domenica 27 novembre 2011

vestita di pavocolombo

Chiedere scusa non è il viatico per il paradiso, nè il valium per notti serene.
E' il giusto dell'età con gli occhiali colorati davanti a un libro.
E' l'avere torto quando le parole hanno fatto la corsa ad ostacoli sui neuroni ed hanno vinto la gara.
E' il giusto e basta.
Deve andare in automatico, come mettersi il deodorante dopo la doccia,  la freccia a destra per svoltare a destra, il rimmel dopo il caffè, tirare l'acqua dopo aver fatto pipì.
Sorrido davanti un "ohhh" di stupore e mi raggrinzo dell'incapacità di credere che uno possa farlo.
Magari bisognerebbe indossare un vestito di piume di pavocolombo, fare  acrobazie sui fili tessuti dalla cicala ragnifera e preparare una torta coi semi di ananas e la farina di merendilla da cuocere nel forno a legna con matite colorate.
Magari bisognerebbe, per riuscire a saltare, con un hooop circense, da quel fastidioso casellario.

Chiedo scusa (arrossendo), qualcuno ha per caso visto la mia bacchetta magica?

2 commenti:

  1. Hai scelto un tono lieve, quasi impalpabile, e forse, paradossalmente, è proprio quello giusto per un tema altrimenti grave come quello del perdono. Che è un'operazione interiore, va a connettersi con una parte profondissima di noi, perlopiù fuori dal controllo cosciente. (Dovrei citare la Klein, la posizione depressiva, ma è roba da trattati di psicologia dinamica e quindi evito.) Chiedere scusa, riparare a una colpa commessa (anche piccola), significa superare i confini dell'orgoglio, dell'aggressività, e riconoscere i diritti dell'altro. Rispetto è la parola chiave: vedere se stessi negli occhi altrui. C'è anche un significato sociale in tutto questo, naturalmente, perché chiedere scusa promuove pace e benessere.
    Spesso ci manca la bacchetta magica. O forse solo un po' di convinzione nei nostri mezzi, chissà...

    Bellissimo post. Buon lunedì.
    P.

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