venerdì 30 marzo 2012

Kafka sulla spiaggia

“Qualche volta il destino assomiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarlo cambi l'andatura. E il vento cambia andatura, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo, e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo. Questo si ripete infine volte, come una danza sinistra col dio della morte prima dell'alba. Perché quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano, indipendente da te. E' qualcosa che hai dentro. Quel vento sei tu. Perciò l'unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando dritto, e chiudendo forte gli occhi per non far entrare la sabbia. Attraversarlo, un passo dopo l'altro. Non troverai sole né luna, nessuna direzione, e forse nemmeno il tempo. Soltanto una sabbia bianca, finissima, come fatta di ossa polverizzate, che danza in alto nel cielo. Devi immaginare questa tempesta di sabbia.
E naturalmente dovrai attraversarla, quella violenta tempesta di sabbia. E' una tempesta metafisica e simbolica. Ma per quanto metafisica e simbolica, lacera la carne come mille rasoi. Molte persone verseranno il loro sangue, e anche tu forse verserai il tuo. Sangue caldo e rosso. Che ti macchierà le mani. E' il tuo sangue, e anche sangue di altri.
Poi, quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c'è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato. Sì, questo è il significato di quella tempesta di sabbia”.

Murakami Haruki "Kafka sulla spiaggia"

Un labirinto onirico che si srotola misteriosamente, come se lettura e costruzione della storia fossero eventi in contemporanea. Da leggere senza porsi domande, seguendo e facendosi trascinare dalla storia.
E da questa musica qui.

PuntoG

giovedì 29 marzo 2012

Et maintenant, on va où?

 




Il dolore è una danza, una gestualità tribale del corpo. Il nero è il dolore sordo del lutto nel cuore. Lisistrata può rivivere anche in Libano e la guerra civile potrebbe avere spazio ovunque, per qualunque stupida diversità. Soave leggerezza dentro temi drammatici.

"E ora dove andiamo?" di e con Nadine Labaki (Francia, Libano, Egitto, Italia   2011)

PuntoG

martedì 27 marzo 2012

Pourquoi lire?

Leggo perché la vita non mi basta (come diceva Pessoa).
Leggo per evitare di dire sciocchezze alle donne.
Leggo per essere altrove.
Leggo per diventare te.
Leggo perché è la sola attività al mondo che permette d’essere contemporaneamente soli e accompagnati.
Leggo per trasferirmi nella testa di Montaigne.
Leggo perché Flaubert mi parli della malinconia dei transatlantici.
Leggo come Guide scrive Paludi: perché altri mi spieghino perché leggo.
Ecco: leggo perché Montaigne, Flaubert e Gide m’insegnino chi sono.
Leggo perché è una fortuna avere degli interlocutori tanto vecchi: Montaigne 477 anni, Flaubert 189 anni, Gide 141 anni.
Leggo per ascoltare i morti.
Leggo perché Frédéric Berthet mi spieghi perché mi piace far festa.
Leggo per uscire senza uscire.
Ma leggo anche per ascoltare i vivi.
Leggo per non invecchiare.
Leggo per non essere disturbato.
Leggo per non rispondere al telefono.
Leggo per non essere qui ma lì.



Lo scrittore francese Charles Dantzig publica un libro in cui si chiede, già nel titolo, «Pourquoi lire?», «Perché leggere?». Già, perché? Lo stesso Dantzig risponde: «Si legge per capire il mondo, si legge per capire se stessi. Se si è appena un po' generosi, capita che si legga anche per capire l'autore». Sull'«Express» Frédéric Beigbeder replica con il lungo elenco dei suoi perché.

PuntoG





lunedì 26 marzo 2012

Addio Tabucchi


"La vita non è in ordine alfabetico come credete voi. Appare... un po' qua e un po' là, come meglio crede, sono briciole, il problema è raccoglierle dopo, è un mucchietto di sabbia, e qual è il granello che sostiene l'altro? A volte quello che sta sul cocuzzolo e sembra sorretto da tutto il mucchietto, è proprio lui che tiene insieme tutti gli altri, perché quel mucchietto non ubbidisce alle leggi della fisica, togli il granello che credevi non sorreggesse niente e crolla tutto, la sabbia scivola, si appiattisce e non ti resta altro che farci ghirigori col dito, degli andirivieni, sentieri che non portano da nessuna parte, e dai e dai, stai lì a tracciare andirivieni, ma dove sarà quel benedetto granello che teneva tutto insieme... e poi un giorno il dito si ferma da sé, non ce la fa più a fare ghirigori, sulla sabbia c'è un tracciato strano, un disegno senza logica e senza costrutto, e ti viene un sospetto, che il senso di tutta quella roba lì erano i ghirigori."


In  “Si sta facendo sempre più tardi“, scrive: “Le persone sono lontane quando ci stanno accanto, figurarsi quando sono lontane davvero [...] Ma ciò che inquieta di più e che rode come un tarlo testardo infilato in una vecchia tavola e impossibile da far tacere se non con un veleno che avvelenerebbe anche noi, è la lettera che non abbiamo mai scritto. ‘Quella’ lettera.”[...]


Il senso della vita e il senso della lontanaza. Un grande. Addio Tabucchi.

PuntoG

domenica 25 marzo 2012

lunedì 12 marzo 2012

Del coraggio da inventare #3

In realtà volevo dormire ancora, almeno un'ora, almeno un'altra. Invece ti sei sballonzolato tutta la notte dentro di me e non mi hai dato tregua. E così mi sono rassegnata ad alzarmi, infilarmi le ciabatte verdi, la vestaglia e preparrami una tazza di the verde caldo. Eccomi qui, almeno scrivo. Perché lo sballonzolamento dentro il letto, mi ha fatto venire qualche pensiero triste. E siccome niente pane e rabbia eccetera eccetera, facciamo che inizio a rispolverare qualcosa di bello, qualcosa che posso raccontarti, anche se Lui (sembra!) sia andato via come il vento di Föhn che arriva all'improvviso in mezzo al gelo, ti dà l'idea di estate e il giorno dopo ti ritrovi nuovamente infreddolito e non sai dartene ragione. C'è stata una cena dentro un'automobile, una sera che c'era una pioggia sottile sottile e le luci dell'abbazia erano infiniti caleidoscopi di colori. C'erano i piatti veri, i bicchieri a calice, il vino rosso e per finire persino le martin sec. Lui sorrideva come un bambino alla giostra e io avevo il buonsenso e il coraggio di non fare domande. Vivevo con brio, beandomi di quello che ricevevo come un dono del cielo. Era quello il segreto. Forse è quella capacità che col tempo non ho saputo mantenere gelosamente e saggiamente legata al polso come un palloncino rosso. Non lo so, forse alla cena dentro l'automobile ero meglio di adesso, almeno nel sorriso e nella leggerezza. Ognuno ha le sue zone cieche, sono un falso caterpillar. Siamo andati a vedere il bosco, dopo. Non uno qualunque, quello speciale, dei ricordi. Lui ha iniziato a raccontare, io ho ascoltato affascinata cose apparentemente banali che sembravavano il capitolo di un libro. La nebbia si era sparsa come lo zucchero a velo sulle torte e il mondo sembrava quello dentro alle palle di vetro. Gli alberi illuminati dai fari delle poche auto di passaggio ricordavano la scena di un film. Siamo scesi a sentire il rumore del bosco e io mi sentivo al sicuro. Dentro la notte mi ha preso la mano, col garbo di chi sta toccando una cosa sacra. Poi mi ha baciata, da farmi mancare l'aria. Non so raccontare con le parole, ma se chiudo gli occhi nulla mi sfugge. L'odore, il sapore, il battito forte del suo cuore contro il mio, i suoi occhi su di me, l'aria densa di tante cose. Non importa se non lo so scrivere, lo so ricordare.
C'è stata una cena in un'automobile col cielo dentro, un'abbazia con le luci magiche, un bosco che sembra quello delle favole, una mano carezzata e un bacio da ricordare. E questa musica qui.

PuntoG

La prima parte è qui

domenica 11 marzo 2012

(da) La tigre assenza


È rimasta laggiù, calda, la vita,
l’aria colore dei miei occhi, il tempo
che bruciavano in fondo ad ogni vento
mani vive, cercandomi…

Rimasta è la carezza che non trovo
più se non tra due sonni, l’infinita
mia sapienza in frantumi. E tu, parola
che tramutavi il sangue in lacrime.

Nemmeno porto un viso
con me, già trapassato in altro viso
come spera nel vino e consumato
negli accesi silenzi…

Torno sola
tra due sonni laggiù, vedo l’ulivo
roseo sugli orci colmi d’acqua e luna
del lungo inverno. Torno a te che geli
nella mia lieve tunica di fuoco.


Cristina Campo

[02012010]



c’è una pace nell’ascolto delle cose
che come l’insieme delle gocce
forma l’incalcolabile vastità del mare
quando soffia l’attesa lieve delle onde
all’increspatura della tua fronte
che arriccia in silenzio il sopracciglio
e pensa

c’è una pace nel sentirsi granello tra le cose
che non si chiede ma si perdona l’esistenza
ora che la fine dell’anno è solo un rito formale
per il computo delle nostre ossa

[E' una pace tersa stasera
barattare al tempo il mio perdono
]


“dialoghi con nessuno”, Natalia Castaldi

lunedì 5 marzo 2012

Del coraggio da inventare #2

Io lo so che uno le cose non se le deve mai immaginare. Accade sempre il contraio poi, quando accadono. Molto meglio o molto peggio. In ogni caso mai come l'avevamo immaginato. La scena che avevo immaginato era un urlo sottovoce. E' un ossimoro difficile da spiegare. E' la voce con l'intonazione dell'urlo e il volume di un sussurro. Per dare l'interpretazione alle parole bisogna usare il paramentro dell'intonazione, non il volume. Altrimenti si capisce tutta un'altra cosa.
Avevo immaginato la casa in penombra, la finestra aperta sui fiori rossi e gialli del terrazzo, la tenda che svolazza appena appena, la radio che quasi non si sente, un bicchiere di prosecco in mano e l'urlo sottovoce che si espande tra le stanze, s'infila sotto le tende e le solleva. E una carezza dolce sulle guance e sulle mani, poi. La vita ti fa fare giri strani certe volte, che quasi non sai più neppure dove sei. E la scena immaginata resta solo sognata. E tende aperte sui fiori tristi del terrazzo, e silenzio. Tutto qui. Niente prosecco, che si sarà mai da brindare?!
Mi sono comprata un paio di orecchini con le farfalle.

PuntoG

La prima parte è qui

domenica 4 marzo 2012

A poi.....

Un omaggio al grande Dalla, da questo blog sperso nell'etere.
Questa non è una tra le sue canzone più famose. Ma mi fa pensare che, a furia di essere vento, da qualche parte si arriva.
A poi, Lucio......

Il mio grande amico Vale

Venerdì mi è arrivato il nuovo libro del Vale, direttamente dalla casa editrice. Ero in trepida attesa. Tenerlo tra le mani mi ha commosso. Molte pagine le conosco già perchè me le ha lette prima della stampa. Così ora, tra i fogli, c'è la sua voce. E il racconto ha l'intonazione che lui vorrebbe dargli. "Bisogna leggere ad alta voce", sostiene. Con Vale siamo diventati amici la prima volta che ci siamo parlati tra il fumo delle sigarette. Eravamo in via Roma, ma lui si ricorda anche com'ero vestita. Mi ha telefonato venerdì pomeriggio, a qualche ora dall'arrivo del libro. E aveva, anche, letto "il post" sul blog. Ci sentiamo poco, ma le telefonate arrivano quando c'è bisogno. Forse abbiamo, anche, una comunicazione extrasensoriale. Si, dev'essere proprio così. Io sono "Sibilla", così mi chiama. Per vaticini passati che lui non ha colto. Ma era giusto così. E' giusta la strada che sta percorrendo. Forse non è la più semplice, ma nella mia sfera di cristallo da Sibilla, leggo che è quella di cui aveva bisogno. Perchè c'erano pezzi da lasciare e altri da recuperare. E così è stato. Di Vale mi piace il suo coraggio di vivere la vita, di non sedersi all'ombra di "se" o "ma". "Perchè noi" dice "siamo cresciuti a pane e sole. E questo fa la differenza". So che ha ragione e mi rattristo. Vale, come me, alle volte si rabbuia e si chiude in casa a pensare, poi, però, si tuffa dentro alla vita. Preferisce sbagliare e fare piuttosto che non fare. Segue le emozioni, le cose belle e interessanti che la vita gli offre, fa. "Chi è cresciuto a pane e nebbia è diverso da noi. Non è capace di certi slanci, di certi tuffi dal trampolino a occhi chiusi." Così rimprovera e stronca le mie speranze. Dice che in mezzo alla nebbia sono sprecata e che ci sarà sempre una parte di me che nessuno sarà capace di cogliere. Ma noi due siamo felici in qualunque posto. Di quella felicità vera che è qualcosa di acquisito e conquistato nelle grandi guerre. A prescindere dal posto, dalle persone, dagli eventi. Una promessa e un giuramento: Mai diventerò come l'omino alto e magro e con le sopracciglia capellute. Mai smetterò di sentire emozioni e mai smetterò di inseguirle. Mai avrò paura di sentire dolore. E mai smetterò di sentire dolore.

PuntoG

giovedì 1 marzo 2012

Del coraggio da inventare #1

Questo è la mia camera della decantazione. Il mio posto dove dare aria a qualunque pensiero prima di trasportalo, eventualmente, nel mondo. E' in realtà la seconda camera. La prima è il cuore. Prima di finire qui i pensieri giacciono in un'angolo all'incrocio tra atri e ventricoli, coi globuli rossi che gli fanno "ciao" con la mano quando li sfiorano passando. Perchè a non dirle, le cose, non sembrano neppure vere, o comunque si può "fare finta" che vere non lo siano.E io ho fatto finta, fino a quando ho potuto.Insomma, tra qualche mese avrò un figlio. No che non lo volevo, no che non mi sento pronta, no che non l'avevo programmato. Se avessi avuto il coraggio forse l'avrei restituito agli angeli, ma il mio coraggio è come la neve di marzo al sole. E allora l'accoglierò, così come ho accolto il padre. Nell'arrivo e nella partenza. Pregherò il dio delle stelle e del mare di non farmelo crescere a pane e rabbia, perchè io lo so che il rischio è tanto. Questo sole giallo più del solito mi fa pensare che potrò tenere le finestre aperte mentre gli dipingerò la stanza, e questo mi dà coraggio. Perchè il sole aiuta, di sicuro più della nebbia e della pioggia. Almeno all'umore. Dovrei pensare di smettere di fumare e organizzare una cena per comunicarlo agli amici. E comprare un vestito nuovo, magari color del cielo.

PuntoG