martedì 3 aprile 2012

Sorridere al tempo



Poi la incontri un giorno, un po’ come la viola di Vecchioni, mentre svolti l’angolo e il vento, ma sì questa volta un po’ malinconico, ti sfiora i capelli e li spettina, quelli che ti son rimasti e si son argentati. E ti congela più di un Grand Soleil perché ti scende pian piano dentro nel cuore, come la lama che Frodo si prese a Collevento. Che l’effetto è poi quasi quello. O invece è la causa.Così ti accorgi che tutto diventa più veloce, e ti sfugge. Che i gesti che prima ti sembravano facili diventano una sfida. Che la sveglia al mattino sembra suoni sempre più presto, quando invece una mano pietosa la sposta di poco avanti tutti i giorni. C’è che si smorza l’energia, le idee si sfarinano, e ti sfuggono a metà, lasciandoti come un adolescente abbandonato al primo appuntamento. E i nomi, mio Dio, i nomi, come il mestolo di Barney, si confondono come le foglie secche travolte in un giro di valzer dal tempo che passa e cancella, non tutto però che sarebbe facile, ma smozzichi, come un cancellino su una lavagna cancellava le scritte -fatte col gessetto che urlava- a tratti lasciandole sbiadite, incompiute, brandelli di ricordi come muri mozzati dalla violenza. Che poi fossero solo i nomi, ma capita sempre più spesso che nel tragitto tra stanza e cucina, tutto svapori, e come una nebbia che scende lieve e massiccia, una cortina si stenda sul pensiero, e resti lì, perplesso, interdetto, arrabbiato, a inseguire e capire che cosa accidenti sei venuto a fare lì, senza trovare un filo, per quanto sottile. Invecchi. Banale. Semplice. Anche bio. Cioè naturale. Capita. A tutti. Il mio vecchio parroco diceva che l’Alzheimer colpisce tutti, chi non lo soffre è perché muore prima. Come in quella barzelletta in cui lui, anziano, stupisce lui, giovane, perché chiama sempre la moglie “tesoro, amore, dolcezza, gioia” e poi confessa di aver dimenticato da anni il suo nome. Eppure di fronte a questo scivolare lento e anche dolce, ci sono due opposti e una soluzione che può dare senso, ordinare, rimettere a posto sulla parete il quadro che qualcuno ha smosso: da un lato la rabbia, con chi non si sa, per questa decadenza che graffia; rabbia che può spingere fino al veleno del giovanilismo sfrenato: cambiare tutto per non riuscire a cambiare se stessi. Illudersi di essere padroni della propria vita distorcendola, che questo sì ci riesce bene e lo sappiamo fare: buttare tutto all’aria e perderla questa vita, per finire a elemosinar carrube ai porci; dall’altro la rassegnazione che conduce con lieve passo alla disperazione, forse alla depressione. Che poi è una forma di rabbia diversa, ma del pavido, di chi non sa neppure sfidare il mondo e se stesso e implode, crudelmente spegnendo il mondo intorno a sé. E poi c’è la terza via, c’è il sorriso. Che però ci vuole fede, se non altro nella vicenda umana: una fede che ti porta a riallineare la vita cercando la quadra tra gli obiettivi e le risorse, che son sempre meno, più asciutte, più sobrie. Con il loden insomma. Tecniche e moderate. Per capire che ogni età della vita prende spessore solo se all’interno di un quadro ampio, di uno scenario profondo, e che tutta questa fragilità, che ci accompagna sempre, e che forse solo superato il decimo lustro appare con una violenza salutare, sta lì a dimostrare che se lo vogliamo siamo sempre bambini. Non conviene dunque ribellarsi o di schianto girare la faccia e fuggire via, lasciando lì solo un corpo che si prosciuga: perché questo gesto di superbia spalanca l’abisso. Meglio comprendere che questo regalo è lì solo per mostrare che da soli non andiamo lontano e che ci conviene cercare una guida che di questa debolezza sappia fare un capolavoro. Perché è proprio quando siamo deboli che siamo forti.
Paolo Pugni

Il post arriva da qui


Niente scimmie attaccate alla schiena. Ma riscoprire il senso del tempo (e magari anche quello del dolore e della meraviglia). Insomma, provare a vivere una vita tonda, che poi dovrebbe essere obbligatorio a qualunque età.


PuntoG

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