domenica 20 maggio 2012

Raccontami una storia che non hai mai raccontato a nessuno


Ti toglievi la fascia dalla vita, ti strappavi i sandali, gettavi in un angolo l’ampia gonna, era di cotone, mi sembra, e scioglievi il nodo che ti stringeva i capelli in una coda. Avevi la pelle d’oca e ridevi. Eravamo talmente vicini che non potevamo vederci, assorti entrambi in quel rito urgente, avvolti nel calore e nell’odore che emanavamo insieme. Mi aprivo il passo per le tue vie, le mie mani sulla tua vita protesa e le tue impazienti. Sfuggivi, mi percorrevi, mi scalavi, mi avvolgevi con le tue gambe invincibili, mi dicevi mille volte vieni con le labbra sulle mie. Nell’attimo estremo avevamo un bagliore di completa solitudine, ciascuno perduto nel proprio abisso rovente, ma subito risorgevamo al di là del fuoco per scoprirci abbracciati nel disordine dei guanciali, sotto la zanzariera bianca. Ti scostavo i capelli per guardarti negli occhi. Talvolta ti sedevi accanto a me con le gambe raccolte e il tuo scialle di seta su una spalla, nel silenzio della notte che iniziava appena. Così ti ricordo, in quiete.
Tu pensi per parole, per te il linguaggio è un filo inesauribile che tessi come se la vita si facesse narrandola. Io penso per immagini congelate in una foto. Ma non impressa su una lastra, piuttosto come disegnata a penna, è un ricordo minuzioso e perfetto, dai volumi morbidi e dai colori caldi, rinascimentale, come un’intenzione colta su una carta porosa o su una tela. E’ un momento profetico, è tutta la nostra esistenza, tutto il vissuto e il da vivere, tutti i tempi simultanei, senza inizio nè fine. Da una certa distanza guardo quel disegno, in cui ci sono anch’io. Sono spettatore e protagonista. Sono nella penombra, velato dalla foschia di una tendaggio trasparente.
[...] Sono lì con te e anche qui, solo, in un altro tempo della coscienza. Nel quadro la coppia riposa dopo aver fatto l’amore, la pelle di entrambi luccica, umida. L’uomo ha gli occhi chiusi, una mano sul proprio petto e l’altra sulla coscia di lei, in un’intima complicità. Per me questa visione è ricorrente e immutabile, nulla cambia, è sempre lo stesso sorriso placido dell’uomo, lo stesso languore della donna, le stesse pieghe delle lenzuola e gli stessi angoli bui della stanza, sempre la luce della lampada sfiora i seni e gli zigomi di lei con la stessa angolatura, e sempre lo scialle di seta e i capelli scuri cadono con identica delicatezza.
Ogni volta che penso a te ti vedo così, ci vedo così, fissati per sempre su quella tela, invulnerabili alla corrosione della cattiva memoria. Posso divagarmi a lungo su quella scena, fino a sentire che entro nello spazio del quadro e non sono più colui che osserva, ma l’uomo che giace accanto a quella donna. Allora si spezza la simmetrica quiete del dipinto e sento le nostre voci vicinissime.

”Raccontami una storia,” ti dico.
“Che storia vuoi?”
“Raccontami una storia che non hai mai raccontato a nessuno.”

PuntoG

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