venerdì 21 settembre 2012

Parafrasando Shéhérazade #4



”Raccontami una storia,” ti dico.
“Che storia vuoi?”
“Raccontami una storia che non hai mai raccontato a nessuno.”

Si sedette sul tappeto bianco rannichiata accanto alla poltrona. Sotto di lei, un cerchio unito da una linea diagonale, segnava la vittoria di un tris. C'era una musica, delle candele accese, odore di miele di montagna e cannella.

”Raccontami una storia,” disse.
“Che storia vuoi?”
“Raccontami una storia che non hai mai raccontato a nessuno.”

Chiuse gli occhi e le fiammelle disegnarono figure strane attraversando il velo delle palpebre.



Il cielo era azzurro quella mattina di sole a tal punto. Vincent sarebbe arrivato con la  trasfigurazione dei suoi girasoli. Ma questo viene dopo. All' inizio solo cielo e sole. E qualche punto di domanda appeso come una resta d'aglio sulle colonne d' acciaio lucido. Da lì è cominciato il vortice del guardare e cercare luci e ombre, inventare mondi inesistenti, cercare quello che non c' era, trasformare la realtà in un'altra cosa.
"Un caffè?"
"Un caffè."
É qui che arriva Vincent. Il posto dove andiamo è così lontano che sembra di aver raggiunto la Francia, anche se poi non è vero.
Quando penso alla tua voce è quella di quando hai scoperto che ti avevo portato in un campo di papaveri. Vincent non era poi così contento che non ci fossero i girasoli, anche se la luce e i colori erano quelli dei suoi quadri. E il sole "a tal punto".
"Guarda."

"Bello" hai detto, con un suono che è sembrato molto meglio del campo e più lungo del viaggio, o così  mi è sembrato. La "e" aperta come il cielo, la "o" tonda come il disegno di Giotto e morbida come un batuffolo di cotone. Abbiamo raggiunto i tulipani quasi di corsa. Erano così alti che sembravano arrivare al cielo e le ombre facevano strani zig zag. Poi è arrivato il Bianconiglio di corsa, come sempre, urlando che era in ritardo. Anche noi lo eravamo. Abbiamo mangiato un biscotto ed è sparito tutto: Vincent, i tulipani, e gli zig zag.
Quando ti penso è così che ti vedo, e la voce che sento è quella. Gli occhi che scattano e scrutano, le "e" aperte e le "o" tonde. Come Alice infilo le dita in tasca, mi conforta il contatto con la ruvidezza dei biscotti. Le persone 
danneggiate sono pericolose. Sanno di poter sopravvivere.

E ascoltano questa musica qui.



Aprì gli occhi e spense le candele.
Sorrise.


PuntoG

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