mercoledì 3 agosto 2011

Di fili arrotolati e altre cose

A Milano ho vissuto per un pò, quando molti sogni erano ancora nei cassetti, qualcuno iniziava a realizzarsi e altri erano così ben chiusi, che non sapevo neppure ci fossero. Milano è il posto di cui si racconta in un blog in cui sono inciampata (come dico sempre io) qualche giorno fa e che ospiterò qui, sperando che l'autore non se ne abbia a male. Milano è anche un pò la mia Milano, perchè tanti sogni sono cominciati proprio da li. Ma non è l'unico filo conduttore, perchè ho anche ritrovato, magicamente districati, molti miei pensieri che nella mia testa continuavano invece ad aggrovigliarsi sempre di più. Nel blog di Andre (cose interessantissime che ho pensato al semaforo mentre aspettavo che l'omino diventasse verde), i miei pensieri li ho trovati perfettamente srotolati e allineati come panni al sole. Credo che meglio non avrebbe potuto fare. Ora che i fili sono al loro posto, provo a scrivere un bigliettino anch'io, sperando che trovi un passaggio da un piccione viaggiatore.

PuntoG

Il post è questo qui:

"Prima stavo camminando verso casa. In silenzio. Ci sono momenti in cui Milano sembra un video senza l’audio.
Sono stato al cinema, in ottima compagnia di personcine che mi piacciono un sacco, a vedere Black Swan. Tralascio la mia paura sul tutto e alcune critiche alla storia.
Ho fatto spesso il tratto San Babila-casa a piedi. E’ una questione di principio: le cose belle difficilmente stanno sotto terra. E spesso, in quel tratto, avvertivo un tormento, qualcosa di viscerale, scomodo, inappropriato al mio camminare.
A fare un due conti, credo si trattasse di notturni attachi di solitudine, rotolanti e ventosi come le foglie secche dei giardini di Palestro. Come quei rivoli d’acqua sul marciapiede lavato e depurato dal trascinarsi della via, acqua che non voleva fare quella fine.
E mi sono accorto di una cosa. Quella sensazione non c’è più, se n’è andata. Come se la foglia fosse tornata sull’albero o l’acqua nella cannella.
Mi sono accorto come due letterine che formano una preposizione cambino un significato. Sto parlando di “da”.
Che fanno emergere la differenza tra essere soli, e essere da soli. Gli inglesi direbbero lonely e alone. Scrivendo tutto ciò, mi rendo conto di quanto sia inesatto a prescindere.
Non siamo soli. E’ impossible. Possiamo intenderlo come status ma non come realtà.
Stasera, prima del cinemino, ho ascoltato una riflessione che continua a rimbalzarmi in testa. Avendo una testa vuota, spazio ce n’è.
Si parlava di capire cosa si vuole. E nel caso specifico, la signora raccontava dell’amica che voleva un fidanzato. Bene, dice all’amica, ora scrivilo, chiudi a metà il biglietto e… scrivi “cosa offro io?”
Non so se ho avuto la finezza di raccontare bene la storiella. Fatto sta che ci penso dalle nove di ieri sera. Cosa offro. Tanto, poco, niente? Non lo so. Non credo sia un discorso aprioristico in una relazione. Perchè tutti avrete pensato “e io offrivo tutto me stesso, e dall’altra parte invece…”
Invece è un pensiero sbagliato. Una saggia persona, mia grande amica, quando a dicembre finì la mia storia, quella più bella, più intensa, più bramata, mi fece soffermare sulla differenza di due termini. Colpa e responsabilità.
Io, ovviamente avevo parlato di colpa. E invece si tratta di responsabilità. Siamo responsabili del nostro operato come siamo responsabili del comportamento che gli altri hanno con noi. Perchè, e mi riallaccio a quanto sopra, non siamo soli. Facciamo parte di un tutto, un tutto che potete chiamare come volete, ma quello è. La pluralità è onnipresente e tangibile, c’è poco da discutere.
Concludendo, io solo o da solo non mi ci sento. Mentre aspetto che l’omino del semaforo diventi verde, mi rendo conto che quella sensazione di inadeguatezza, di viscerale movimento… non c’è più.
Non nego che la mattina preferirei vedere una faccia vicino al mio cuscino, ma concentrandosi troppo sulla ricerca della stessa, non ci si accorge della bellezza di ciò che ci accade accanto e di cui facciamo parte. Perché se non ci si mette in gioco, non si lotta per un’ideale ma solo per un’idea… ci si ritrova a guardare il dito che indica e non la luna."






PS Grazie Andre

4 commenti:

  1. Non so dirti come sono capitata qui nel tuo blog, probabilmente per la mai curiosità innata... probabilmente nel frugare tra i profili con interessi cinema... probabilmente dopo aver trovato nei tuoi un libro che è anche tra i miei preferiti... quello di Vargas Llosa che ho adorato. Mi dispiaceva andarmene senza aver lasciato una traccia e farti i complimenti per quello che scrivi e per il buon gusto del blog in generale.
    Un saluto.

    L.W

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  2. Il brano (molto bello) contiene ragionamenti e sentimenti che solo una grande città, con la sua claustrofobia, è capace di evocare. Per come la conosco, più Milano che Torino. Lì ci si sente davvero (da) soli, almeno finché si è in attesa che una persona amata inondi di bellezza la pensilina della Stazione Centrale. E subito dopo fuggire insieme altrove...

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  3. Cara LW, felice che tu sia passata soprattutto che ti sia fermata. I libri sono come calamite, quelli interessanti indendo, e ci attraggono.
    Ti aspetto ancora

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  4. Pim, non so che dire. Io mi sono innamorata di Milano la prima volta che ci sono arrivata, appena scesa dal treno alla stazione centrale di una giornata decisamente uggiosa. E' un posto speciale. Però il finale, del fuggire insieme altrove, lo trovo strepitosamente romantico .

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